A partire dal gennaio 2021 e sino al 30 settembre 2024 RFI, il gestore dell’infrastruttura ferroviaria del gruppo FS, ha effettuato una massiccia campagna di assunzioni, che ha interessato circa 4.396 persone, di cui una buona parte provenienti dal Sud Italia, e che porterà però ad un altrettanto massiccio spreco di denaro pubblico. Come?
In questo slot temporale la società ha avviato un processo di selezione, promettendo posizioni lavorative nella regione di appartenenza dei candidati. AI candidati, per essere assunti, è stato richiesto come prerequisito di essere liberi da qualsiasi altro contratto lavorativo; va da sé che quanto richiesto ha comportato il dover presentare le dimissioni dai precedenti impieghi in modo da poter rispettare i tempi di preavviso previsti dalla legge.
Solo a ridosso della firma del contratto, l’azienda ha imposto il trasferimento in un’altra regione, mettendo molti lavoratori di fronte a una scelta drastica: accettare la nuova destinazione o rimanere disoccupati.
La beffa non si è limitata a questo repentino cambiamento di destinazione ma il contratto, ovviamente sottoscritto per non ritrovarsi senza impiego, prevede una penale in caso di dimissioni durante i tre anni della formazione; si parla di oltre 10.000 euro che rendono di fatto impossibile per molti dipendenti lasciare il posto di lavoro senza subire gravi perdite economiche.
Di fatto, molti dipendenti sono stati così costretti ad emigrare con costi stratosferici mentre RFI ha continuato a indire nuove selezioni per assumere personale nelle regioni da cui proprio questo personale era costretto ad andarsene.
Ma perché non prevedere il trasferimento dei lavoratori già assunti, invece di investire ulteriori risorse nel reclutamento di nuovi dipendenti? I licenziamenti si sprecano nonostante la penale e a fine apprendistato, quando la penale non sarà più prevista, se ne prevede un’altra ondata.
RFI dimostra arroganza, non solo nei confronti dei lavoratori ma anche dei contribuenti e del Sud Italia in particolare: non si preoccupa dello spreco evidente di denaro pubblico nella formazione erogata a tutti quelli che dopo tre anni si licenzieranno, formazione che è altamente specifica e costosa. Non si preoccupa di obbligare i giovani all’emigrazione forzata.
Questo atteggiamento dovrebbe far riflettere su quanto sia seria questa azienda e su quanto si senta al di sopra delle regole.
Per il Sud Italia è l’ennesima forma di sfruttamento. Persino L’Europa aveva chiesto di fermare l’esodo di lavoratori attraverso la più grande occasione di investimenti pubblici dal Dopoguerra attuata con il piano di oltre 215 miliardi di euro stanziati con il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” ma si può dire che, nonostante gli investimenti stanziati per RFI, anzi, proprio a causa di questi, l’esodo assume proporzioni massicce.

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